mercoledì 1 agosto 2012

Joseph Nicéphore Niépce

*Attenzione: la seguente biografia è frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/,  http://www.repubblica.it/,  http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale; le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri  e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell, “I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos” edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote” edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da Enaudi.
*ATTENZIONE: il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici  e informativi ed è consentita la pubblicazione con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www. rephotowriter.blogspot.it /), si chiede gentilmente di comunicarlo all’autore (danyre@hotmail.it)

Joseph Nicéphore Niépce

Joseph Nicéphore Niépce nasce nel 1765 a Chalon sur Saône da una benestante famiglia borghese.
Dopo un periodo di militanza come rivoluzionario, succeduto ad una  vocazione per il sacerdozio, si scopre portato verso le invenzioni e col fratello Claude progetta un motore a combustione interna e sistemi di propulsione di varia natura.
Nel 1796, militare a Cagliari, concepisce l’idea di imprimere le immagini prodotte dalla camera oscura su un supporto costituito da una lastra da incisore, con l’intenzione di produrre impianti litografici senza l’intervento di un disegnatore.
«Scoprire nelle emanazioni del fluido luminoso un agente capace di imprimere in maniera esatta e durevole le immagini trasmesse dal procedeimento dell’ottica e il modo come ottenre un’impronta che non si alteri rapidamente».
Inizia ad interessarsi attivamente nel 1816 ai fenomeni della luce e della camera oscura.
L’intento di produrre immagini per la stampa litografica lo porta ad utilizzare un materiale tipico del lavoro dell’incisore, cioè il bitume di giudea.
Questa sostanza veniva spalmata sulle lastre destinate ad essere incise con l’acido, in quanto dotata di una resistenza alla corrosione tale da proteggere efficacemente le zone che non dovevano essere raggiunte dall’azione dell’acido.
Inoltre applica alla lente della camera oscura una sorta di diaframma al fine di ottenere una maggiore profondità di campo.
L’immagine prodotta dalla lente della camera oscura viene quindi proiettata sulla lastra fotosensibile, che egli definisce eliografia. , ottiene un’immagine su una carta impreniata di cloruro d’argento e acido nitrico, ma i colori sono invertiti, ottenendo quello che oggi viene chiamato negativo. Nièpce è deluso da questi primi tentativi poiché non ottiene immagini nei loro rapporti naturali (in negativo) e inoltre non riescie a fissarli. Comunque il primo passo è stato fatto, Nièpce è riuscito ad ottenre un’immagne dalla camera oscura su una superfice sensibile.
Nel 1816 scrive al fratello Claude: «Ho messo il mio apparecchio sulla finestra aperta, dirigendolo verso la piccionaia. Ho fatto l’esperimento nel mio solito modo e ho ottenuto sulla carta bianca quella parte della piccionaia che si vede dalla finestra ed una debole immagine anche di questa, che era meno illuminata».
Prosegue per anni nei suoi tentativi di scoprire sostanze più sensibili alla luce e che meglio fissassero il risultato ottenuto.
Effettua prove con materiali diversi, si rende conto che è l’argento l’elemento su cui lavorare, ma non abbandona il bitume di giudea, inoltre scopre che i vapori di mercurio riescono a fissare il risulao e a mantenerlo nel tempo; con l’uso dei due nuovi materiali ottiene delle immagini a partire dal 1824.
Dei tentativi effettuati ci rimane quella che è considerata la prima fotografia. Del 1826 è la sua prima immagine disegnata dalla luce, ripresa dopo un’esposizione di circa otto ore effettuata con una camera oscura posizionata davanti a una finestra.
Il supporto è una lastra di peltro, che misura 20 cm di base e 16,5 cm di altezza.
Questa immagine è conservata negli Stati Uniti, ad Austin, presso la Gernsheim Collection. Trattandosi di una immagine positiva diretta, presenta quella che Leonardo da Vinci aveva chiamato intersegatione, cioè l’inversione alto/basso e destra/sinistra, quest’ultima chiaramente non eliminabile se non osservandola riflessa in uno specchio.
Il ritrovamento è legato al viaggio in Inghilterra compiuto da Niépce nel 1827, quando si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo procedimento, che egli continua a chiamare eliografia.
In Inghilterra contatta Francis Bauer, cui affida il materiale che ha portato con sé per illustrare la sua scoperta.
La sua relazione viene presa in scarsa considerazione, poichè non illustra compiutamente il suo procedimento. Il materiale rimane a Bauer, il quale appone sul retro della cornice che contiene l’immagine l’annotazione, fondamentale per la datazione.
Dopo l’insuccesso avuto in Inghilterra si verifica un avvenimento che cambierà il suo futuro e anche la storia della fotografia: l’incontro, non casuale, con Louis Jacques Mandé Daguerre.
Nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce Daguerre che diventerà suo collaboratore. Nel 1829 fonda con Daguerre un'associazione per il perfezionamento dei materiali fotosensibili. Muore  prima di vedere riconosciuta l'importanza delle sue ricerche, nel 1833; gli succede il figlio Isidor Nièpce, ma Dagguerre lo convice a modificare il contratto di assciazione a tal punto che il nome “Nièpce” scompare definitivamente, cosi Daguerre continua da solo le ricerche che lo portano al dagherrotipo. La consacrazione della scoperta avverrà nel gennaio 1839 durante una seduta dell’“Accademia delle scienze”.
Se da vivo Nièpce rimase ignoto al grande pubblico, questo pioniere che non conobbe fama né fortuna oggi è considerato il primo che sia riuscito a far riprodurre dalla luce, senzal’aiuto dell’uomo, un’immagine del mondo e abbia potuto fissarla.

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