*Attenzione: la seguente biografia è
frutto di una ricerca personale che prende informazioni da varie fonti: i siti
http://www.storiadellafotografia.it/; da erticoli e
recnesioni pubblicati dalle pagine artistiche e culturali di http://www.corriere.it/, http://www.repubblica.it/, http://www.ilsole24ore.com/, http://it.wikipedia.org/wiki/Pagina_principale;
le pubblicazioni “I Grandi Fotografi” edito da Fabbri e curato da Romeo Martinez e Bryn Cambpell,
“I Grandi Fotografi, Testimonianze e Visioni del Nostro Tempo: Magnum Photos”
edito da Hachette e Il Sole 24 Ore in collaborazione con Contrasto (http://www.contrasto.it/), “FotoNote”
edito dalla Contrasto, “Breve Storia della Fotografia” di Jean-A. Keim edito da
Enaudi.
*ATTENZIONE:
il presente articolo può essere utilizzato solo per fini didattici e informativi ed è consentita la pubblicazione
con indicazione di firma, data e sito dell’autore (http://www.
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Joseph
Nicéphore Niépce
Joseph Nicéphore Niépce nasce nel 1765 a
Chalon sur Saône da una benestante famiglia borghese.
Dopo un periodo di militanza come
rivoluzionario, succeduto ad una vocazione per il sacerdozio, si scopre portato
verso le invenzioni e col fratello Claude progetta un motore a combustione
interna e sistemi di propulsione di varia natura.
Nel 1796, militare a Cagliari,
concepisce l’idea di imprimere le immagini prodotte dalla camera oscura su un
supporto costituito da una lastra da incisore, con l’intenzione di produrre
impianti litografici senza l’intervento di un disegnatore.
«Scoprire
nelle emanazioni del fluido luminoso un agente capace di imprimere in maniera
esatta e durevole le immagini trasmesse dal procedeimento dell’ottica e il modo
come ottenre un’impronta che non si alteri rapidamente».
Inizia ad interessarsi attivamente nel 1816 ai fenomeni
della luce e della camera oscura.
L’intento
di produrre immagini per la stampa litografica lo porta ad utilizzare un
materiale tipico del lavoro dell’incisore, cioè il bitume di
giudea.
Questa sostanza veniva spalmata sulle
lastre destinate ad essere incise con l’acido, in quanto dotata di una
resistenza alla corrosione tale da proteggere efficacemente le zone che non
dovevano essere raggiunte dall’azione dell’acido.
Inoltre applica alla lente della camera
oscura una sorta di diaframma al fine di ottenere una maggiore profondità di campo.
L’immagine prodotta dalla lente della
camera oscura viene quindi proiettata sulla lastra fotosensibile, che egli definisce eliografia. , ottiene un’immagine su una carta impreniata di
cloruro d’argento e acido nitrico, ma i colori sono invertiti, ottenendo quello
che oggi viene chiamato negativo. Nièpce è deluso da questi primi tentativi
poiché non ottiene immagini nei loro rapporti naturali (in negativo) e inoltre
non riescie a fissarli. Comunque il primo passo è stato fatto, Nièpce è riuscito ad ottenre
un’immagne dalla camera oscura su una superfice sensibile.
Nel 1816 scrive al fratello Claude: «Ho
messo il mio apparecchio sulla finestra aperta, dirigendolo verso la
piccionaia. Ho fatto l’esperimento nel mio solito modo e ho ottenuto sulla
carta bianca quella parte della piccionaia che si vede dalla finestra ed una
debole immagine anche di questa, che era meno illuminata».
Prosegue per anni nei suoi tentativi di
scoprire sostanze più sensibili alla luce e che meglio fissassero il risultato
ottenuto.
Effettua prove con materiali diversi, si
rende conto che è l’argento l’elemento su cui lavorare, ma non abbandona il bitume di giudea, inoltre scopre che i vapori di
mercurio riescono a fissare il risulao e a mantenerlo nel tempo; con l’uso dei
due nuovi materiali ottiene delle immagini a partire dal 1824.
Dei tentativi effettuati ci rimane
quella che è considerata la prima fotografia. Del 1826 è la sua
prima immagine disegnata dalla luce, ripresa dopo un’esposizione di circa
otto ore effettuata con una camera oscura posizionata davanti a una finestra.
Il supporto è una lastra di peltro, che
misura 20 cm di base e 16,5 cm di altezza.
Questa immagine è conservata negli Stati
Uniti, ad Austin, presso la Gernsheim Collection. Trattandosi di una immagine positiva diretta, presenta quella che Leonardo da Vinci aveva chiamato intersegatione, cioè
l’inversione alto/basso e destra/sinistra, quest’ultima chiaramente non
eliminabile se non osservandola riflessa in uno specchio.
Il ritrovamento è legato al viaggio in
Inghilterra compiuto da Niépce nel 1827, quando si reca alla Royal Society di Londra per una dissertazione sul suo
procedimento, che egli continua a chiamare eliografia.
In Inghilterra contatta Francis Bauer,
cui affida il materiale che ha portato con sé per illustrare la sua scoperta.
La sua relazione viene presa in scarsa
considerazione, poichè non illustra compiutamente il suo procedimento. Il
materiale rimane a Bauer, il quale appone sul retro della cornice che contiene
l’immagine l’annotazione, fondamentale per la datazione.
Dopo l’insuccesso avuto in Inghilterra
si verifica un avvenimento che cambierà il suo futuro e anche la storia della
fotografia: l’incontro, non casuale, con Louis Jacques Mandé
Daguerre.
Nel 1827, durante un viaggio a Parigi, conosce Daguerre che diventerà suo collaboratore.
Nel 1829 fonda con Daguerre un'associazione per il
perfezionamento dei materiali fotosensibili. Muore prima di vedere riconosciuta l'importanza
delle sue ricerche, nel 1833; gli succede il figlio Isidor Nièpce, ma Dagguerre
lo convice a modificare il contratto di assciazione a tal punto che il nome
“Nièpce” scompare definitivamente, cosi Daguerre continua da solo le ricerche
che lo portano al dagherrotipo. La consacrazione della
scoperta avverrà nel gennaio 1839 durante una seduta dell’“Accademia
delle scienze”.
Se da vivo Nièpce rimase ignoto al grande pubblico,
questo pioniere che non conobbe fama né fortuna oggi è considerato il primo che
sia riuscito a far riprodurre dalla luce, senzal’aiuto dell’uomo, un’immagine
del mondo e abbia potuto fissarla.
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