Il fiume Adda
I problemi del paesaggio italiano sono tanti, forse ci siamo lasciati prendere la mano da un mito economico, modero e tecnologico che impone di elevare imponenti strutture verso l’alto occludendo la vista del sole e scavare nella terra togliendo spazio alle radici degli alberi per poi soffocarle con l’asfalto.
Questo mito è come un bambino non
svezzato che esaurisce egoisticamente tutte le risorse a sua disposizione,
assimilandole con ingordigia senza mai saziarsi pur non avendo fame.
Che motivo c’è di costruire nuove
abitazioni e edifici quando ne esistono molti abbandonati e che aspettano solo
di essere riutilizzati.
Qui non si sta demonizzando tecnologia e
progresso né tanto meno elevando una vita totalmente agreste; le città sono
importanti per gli uomini cosi come le fabbriche, le industrie e le
infrastrutture per il trasporto degli uomini e dell’energia; anche il contatto
con la natura è importante per l’uomo, non solo perché tre da essa le materie
prime per il suo sostentamento, ma anche perché l’uomo è sostanzialmente un
animale e ha bisogno di essa per il suo benessere.
Per fortuna da qualche parte c’è ancora
un po’ di natura.
Il punto è che bisogna prestarci
attenzione.
L’elemento umano dovrebbe essere come un
nastro di raso che si adagia morbidamente sulle curve del territorio, piuttosto
che un’imponente lavoro di ingegneria capace di livellare le valli.
Camminando sulle rive del fiume Adda mi
sono accorto di una cosa: che la luce è più suadente sulle foglie degli alberi
sui muri dei palazzi.
Re Daniele
5-11-12